mercoledì 23 ottobre 2013

Tortine di farro con arancia e mela



Avete una voglia improvvisa di un dolcetto? 
Avete ospiti ed è ora della merenda? 
Volete fare un dolcetto per il dopocena ma non avete voglia di cose elaborate?
Ecco una ricetta semplice e veloce per delle buonissime tortine all'insegna della semplicità.....ma con gusto!

Ingredienti per quattro tortine:


  • 125 gr. di farina di farro integrale
  • 50 gr. di zucchero di canna 
  • 2 e 1/2 cucchiai di olio di girasole
  • 60 ml di succo d'arancia
  • 65 ml di latte vegetale
  • 1/2 cucchiaino di bicarbonato
  • 1/2 bustina di lievito  (cremor tartaro)
  • cannella a volontà
  • 1 mela
Mescolare in una ciotola tutti gli ingredienti secchi, la farina, lo zucchero, il bicarbonato, il lievito e la cannella.
In un boccale miscelare tutti gli ingredienti liquidi, l'olio di girasole, il succo d'arancia e il latte vegetale.
Unire quindi, mescolando, gli ingredienti liquidi a quelli secchi e mescolare fino a formare una crema densa.
Versare l'impasto nelle tortierine monoporzione e decorare la parte superiore con un quarto di mela ognuna tagliato a spicchi. Se volete potete anche alternare 1 spicchio di mela e uno di arancia.
Far cuocere nel forno preriscaldato a 200° per i primi 10 minuti, poi abbassare il forno a 170-180° e lasciare cuocere altri 10 minuti.
Lasciare raffreddare, sformare le tortine e....gustarsele!


domenica 20 ottobre 2013

Consumo consapevole, etica e salute nel nostro armadio





Il nostro guardaroba contiene gli abiti che ogni giorno scegliamo per vestirci, ma sappiamo realmente cosa c’è nel nostro guardaroba? Sappiamo da dove arrivano, di che materiali sono fatti e quale processo di lavorazione hanno subìto i nostri abiti? E’ strano che, da un punto di vista salutistico, facciamo attenzione a quello che mangiamo, ma non a quello che mettiamo sulla nostra pelle! Forse perché consideriamo più importante quello che mettiamo “dentro” il nostro corpo che non quello che mettiamo “fuori”, anche se a contatto con la nostra pelle. Eppure la pelle è un organo molto importante del nostro corpo, è il nostro organo più esteso, la prima barriera di difesa contro potenziali agenti patogeni, regola la nostra temperatura corporea, la dispersione idrica e produce la vitamina D, che permette di fissare il calcio nelle ossa. La pelle è come una spugna, assorbe le sostanze con le quali viene a contatto, pensiamo ai cerotti curativi che vengono utilizzati appunto per far assorbire gradualmente attraverso la pelle un determinato medicinale. Questo assorbimento da parte della nostra pelle avviene sia che si tratti di sostanze benefiche che di sostanze nocive, perciò se i tessuti che vengono a contatto con la pelle contengono sostanze irritanti e tossiche, la pelle le assorbirà trasferendole al nostro corpo.


Generalmente non ci pensiamo, ma ogni capo di abbigliamento, prima di arrivare nel nostro armadio, è passato attraverso lunghe lavorazioni effettuate con prodotti chimici come coloranti, candeggianti, fissatori, antimacchia, antimuffa, fungicidi e molti altri. I numerosi residui di queste sostanze che si trovano nei nostri vestiti possono provocare irritazioni, allergie e possono anche intossicare l’intero organismo. Le dermatiti allergiche sono sempre più in aumento e vari studi scientifici hanno dimostrato che la maggior parte di queste dermatiti sono causate dalle sostanze chimiche utilizzate soprattutto nella fase di tintura dei tessuti. In Europa molte di queste sostanze sono state proibite, in quanto cancerogene, ma sono ancora utilizzate nei Paesi più poveri, soprattutto asiatici, dove le leggi per l’uso di sostanze tossiche non esistono o vengono ignorate. Comunque anche in Europa e in Italia vengono ancora utilizzate sostanze chimiche per le quali esiste “solo” il sospetto di pericolosità ed inoltre molte aziende, anche italiane, delocalizzano alcune fasi di lavorazione proprio nei Paesi come la Cina, l’India o il Bangladesh, dove la manodopera costa poco, senza controllare che siano rispettati i parametri europei sulle sostanze chimiche.  


Il ciclo produttivo degli indumenti è un percorso lungo ed articolato che ha inizio con la materia prima , la fibra tessile che può essere naturale – vegetale o animale - o artificiale o sintetica.


Tra le fibre vegetali quella più utilizzata è il cotone, che viene ricavato dalle piante del genere Gossypium, coltivate perlopiù in maniera intensiva, in monocultura (pratica che utilizza lo stesso terreno, ripetutamente anno dopo anno e che provoca l’impoverimento del terreno) e con ampio uso di fertilizzanti chimici e pesticidi. Queste sostanze nocive penetrano nei terreni ed inquinano le falde acquifere e fanno ammalare seriamente milioni di contadini dei Paesi più poveri. Purtroppo il cotone biologico, non OGM e coltivato senza uso di sostanze chimiche di sintesi rappresenta solamente una minuscola percentuale della produzione mondiale. 
Il lino, la canapa e la juta, a differenza del cotone,  sono ricavate da piante molto più resistenti ai parassiti che richiedono quindi pochissimi pesticidi e che necessitano di poco apporto idrico, risultando quindi coltivazioni con un basso impatto ambientale.


Tra le fibre naturali animali la più utilizzata è sicuramente la lana, ottenuta dal vello delle pecore e di altri animali. Purtroppo gli animali dai quali si ricava la lana vivono una vita dura, sottoposti a tosatura in tutte le stagioni (spesso meccanica e che provoca dolorose escoriazioni) e lasciati poi esposti alle intemperie senza la protezione del loro pelo e sottoposti a pratiche crudeli come il mulesing.
Altra fibra animale che comporta crudeltà è la seta, estratta dai bozzoli realizzati dai bachi del gelso, sottoponendoli a stufatura, trattamento che uccide l’insetto racchiuso all’interno del bozzolo tramite vapore d’acqua a 80°. L’unica seta prodotta senza crudeltà è quella denominata “buretta” indiana che deriva dalle prime secrezioni del baco, prima che formi il bozzolo, oppure da bozzoli già sfarfallati ed è  quindi ottenuta senza l’uccisione del povero insetto.


Ci sono poi le fibre artificiali, tra cui la viscosa e l’acetato, prodotte dall’uomo a partire da polimeri di origine naturali, che sono il risultato di un processo industriale che richiede l’impiego di sostanze inquinanti e pericolose, con conseguenti problemi ecologici.


Altre fibre prodotte dall’uomo sono le fibre sintetiche, tra cui il poliammide (nylon), il poliestere e l’elastan,  prodotte a partire da polimeri di sintesi. Queste fibre sono molto utilizzate per la confezione di abiti, in genere mischiate a fibre naturali per ottenere tessuti morbidi e molto resistenti. Il poliestere ad esempio è la fibra più utilizzata in assoluto e può essere ricavato dalla trasformazione della plastica Pet (le bottiglie dell’acqua) ottenendo il pile e riciclando così un materiale di scarto che verrebbe altrimenti disperso nell’ambiente o accumulato nelle già straripanti discariche.


Proseguendo nell’esaminare il ciclo produttivo degli indumenti, sappiamo ovviamente che dalle fibre si deve ottenere il filato, dal quale realizzare poi il tessuto e successivamente il capo di abbigliamento. Quindi, a prescindere dal tipo di fibra del quale è composto il nostro abito, prima della sua realizzazione dovranno verificarsi tutta una serie di passaggi e lavorazioni ed è proprio in queste fasi che verranno usate le sostanze chimiche che potrebbero entrare in contatto con la nostra pelle. 


Le fibre naturali, prima della filatura, sono sottoposte a lavaggi con particolari sostanze chimiche per eliminare le impurità e spesso, come nel caso della lana, trattate con candeggianti. A questo punto si procede alla filatura che trasforma le fibre in un unico filo avvolto in una matassa.


Una volta formato il filato si procede alla tessitura, ma prima di questa il filato viene impregnato di ulteriori sostanze che servono a far scorrere bene i fili sul telaio. Il tessuto così creato dovrà poi passare alla fase successiva che è quella della tintura, ma prima andrà lavato con sostanze particolari come acidi e candeggianti per eliminare le sostanze con le quali i filati erano stati impregnati per scorrere meglio.


La tintura è la fase più delicata di tutto il processo produttivo, è il processo più pericoloso per la salute dei lavoratori, il più inquinante per l’ambiente e quello che lascia più residui nocivi sull’abito che indosseremo. L’operazione di tintura viene effettuata con immersione del tessuto o della matassa di filo in un bagno colorato ottenuto con prodotti chimici. Oltre al colorante chimico vero e proprio, vengono utilizzate anche altre sostanze che servono a migliorare l’assorbimento del colore ed a fissarlo. Tutti questi prodotti impiegati sono tossici e provocano seri danni alle persone che lavorano a contatto con essi ogni giorno, all’ambiente ed a noi consumatori perché i residui rimasti sul capo che indosseremo possono continuare a rilasciare sostanze pericolose.


L’ultima fase di realizzazione del tessuto prevede una serie di lavorazioni che servono a modificare l’aspetto ed il tatto del tessuto e determinano come si comporterà nelle varie situazioni alle quali sarà sottoposto. Vengono quindi applicate soluzioni chimiche antimacchia, antipiega, antifiamma, antimuffa, antibatteriche ed altro ancora.


Quindi, durante tutto il ciclo di lavorazione, il nostro indumento è stato trattato con un’infinità di miscele composte da acidi e coloranti vari potenzialmente nocivi ed irritanti, fortemente sospettati di avere effetti cancerogeni.


Purtroppo anche gli indumenti per i più piccoli subiscono gli stessi trattamenti e la pelle di un individuo ancora in fase di crescita è sicuramente più delicata e più vulnerabile. Infatti nei bambini piccoli sono frequenti le reazioni cutanee, come arrossamenti, irritazioni e anche eczemi, spesso attribuite ad altri motivi, come intolleranze alimentari, ma che in realtà potrebbero essere ricondotte all’utilizzo di un certo indumento e non per allergia personale ma per le sostanze in esso contenute.


Ovviamente se i residui di sostanze tossiche contenute negli abiti possono far male a chi li indossa, sicuramente fanno male a chi li produce, operai che lavorano in nero, sottopagati e senza tutele nelle fabbriche dell’Asia o dell’Africa, dove la tutela del lavoro, la prevenzione e la sicurezza sono completamente ignorate. La maggior parte della forza lavoro nel settore tessile è femminile, donne pagate pochissimo, che lavorano con orari estenuanti, che subiscono ogni tipo di sopruso e che, pur di guadagnare qualcosa per sfamare la famiglia, sono disposte a sottostare a regole imposte da datori di lavoro che ignorano i più elementari diritti umani, prima ancora che sindacali, mettendo a rischio gravemente la loro salute e la loro sicurezza. In Paesi come la Cina, il Bangladesh, l’Indonesia e l’India il salario medio di un lavoratore è di circa due dollari al giorno per otto ore di lavoro, ma le ore di lavoro sono generalmente 12 e anche 14 e non certo pagate come straordinari!  


Queste storie di sfruttamento, non sono solo legate alla produzione di abbigliamento economico, ma riguardano anche i grandi marchi occidentali che hanno esternalizzato la loro produzione proprio nei Paesi poveri per risparmiare sui costi e fingono di non sapere a cosa sia dovuto quel risparmio. E’ quindi molto probabile che almeno il 90% di quello che abbiamo nel nostro armadio sia stato prodotto attraverso queste storie di sfruttamento in quanto nel mercato globale le lavorazioni di un indumento si svolgono in più continenti.


La questione ambientale è un altro terribile risvolto dell’industria tessile. Questo è un argomento di così vasta portata che andrebbe certo trattato in maniera più approfondita, ma basti sapere che Paesi come la Cina stanno inquinando massicciamente acqua, suolo ed aria con polveri e veleni di ogni tipo.


Ma fortunatamente esistono delle alternative per chi vuole passare ad un consumo più consapevole e responsabile … l’abbigliamento eco compatibile, biologico, equo e solidale, la moda etica, la cosiddetta “critical fashion”.


La prima regola per avere un guardaroba sano ed etico è comprare meno abiti. Spesso per “amore” dello shopping acquistiamo compulsivamente capi di abbigliamento, di qualità scadente, che non ci servono e che magari indosseremo solo poche volte prima di sostituirli con altri acquistati con  uguale frenesia. Dovremmo anche tenere in considerazione il baratto, molto affermato all’estero,  l’acquisto di abiti usati nei “charity shop” (circuiti di stampo inglese gestiti da organizzazioni di volontariato per finanziare progetti umanitari) ed anche il riuso di abiti scovati nel fondo del nostro armadio, magari reinventati e rivisitati con un po’ di fantasia e creatività. Ed infine quello che proprio ci occorre e non possiamo fare a meno di acquistare, acquistiamolo lontani dalle grandi firme e dalla produzione in serie, rivolgendoci al biologico, al mercato equo e solidale ed alla moda etica, che produce abiti belli e di qualità ideati da giovani creativi indipendenti che prestano attenzione non solo alle tendenze della moda ma anche e soprattutto all’etica.



E’ perciò molto importante, come consumatori consapevoli, scegliere i vestiti non solo sulla base di estetica, praticità e prezzo, ma valutarne tutti gli aspetti, compresi come, dove, con cosa, da chi e in quali condizioni è stato fatto l’abito che stiamo acquistando e che ci metteremo addosso. Conoscere è il primo passo per poter scegliere consapevolmente!



Noi, come consumatori, abbiamo un enorme potere, perché il mercato si basa sulla legge della domanda e dell’offerta e quindi possiamo influenzare l’offerta, cambiando la nostra domanda!






Nota: le informazioni sopra riportate sono in parte tratte dal libro “Vestiti che fanno male” di Rita Dalla Rosa, che vi consiglio di leggere per gli approfondimenti.

lunedì 14 ottobre 2013

Chili...con soia




Il chili con carne è un tipico piatto tex-mex a base di fagioli rossi e, appunto, carne.


Questa che vi propongo è una versione vegan della gustosissima ricetta tradizionale, che utilizza la soia invece che la carne e che non ha nulla da invidiare alla versione originale, anzi…..soddisfa ampiamente il palato e anche la coscienza!


E’ importante scegliere però la soia giusta, perché la soia di alcune marche è troppo stopposa ed inoltre deve essere in piccoli pezzetti. 


Ingredienti (per 6 persone):

  • 200 gr. di bocconcini di soia (io ho usato quelli della Sabo)
  • 250 gr. di fagioli rossi secchi
  • 1 cipolla
  • 1 peperone rosso
  • 700 gr. di polpa di pomodoro
  • Olio extravergine d’oliva
  • 1 peperoncino piccante
  • Pepe nero
  • Sale
  • Coriandolo
  • Cumino

Mettere a bagno i fagioli la sera precedente e lasciarli a bagno tutta la notte. Se li mettete a bagno con un pezzetto di alga kombu, diverranno più digeribili.

Al mattino scolarli, sciacquarli sotto l’acqua corrente e metterli a cuocere in abbondante acqua per circa 40 minuti. Scolarli e metterli da parte. Ovviamente potete conservare il brodo e riutilizzarlo per un risotto o qualche altra preparazione.


Preparare un brodo vegetale con 1 carota, una patata, una cipolla ed un pezzetto di sedano. Filtrarlo e rimetterlo sul fuoco versandoci dentro i bocconcini di soia per reidratarli. Far bollire per 10 minuti. Scolare e mettere da parte.


In una grande casseruola, scaldare un po’ d’olio e versare la cipolla, tagliata ad anelli, per farla ammorbidire. Pulire e tagliare il peperone a dadini e quando la cipolla sarà ammorbidita, versarli nella casseruola insieme alla cipolla. Una volta che il peperone avrà rilasciato la sua acqua, versare anche i bocconcini di soia e far insaporire finchè l’acqua sarà assorbita, per circa cinque minuti. 


A questo punto aggiungere i fagioli cotti e lasciar insaporire per qualche minuto prima di aggiungere la polpa di pomodoro.

Quando inizierà il bollore, aggiungere le spezie, il peperoncino tagliato a piccole rondelle (eliminate i semi affinchè non sia troppo piccante!), il pepe a vostro piacere, un pizzico di cumino, un pizzico di coriandolo ed il sale a vostro piacere. Mescolare per amalgamare bene e lasciare cuocere a fuoco basso per circa 30 minuti, e comunque fino a quando i vari gusti si siano armonizzati e la preparazione si sarà addensata (…fate un assaggino…). 


L’ideale sarebbe servire questo piatto accompagnandolo con tortillas, ma vi assicuro che anche con un buon pane fatto in casa è strepitoso!


Buon appetito

sabato 12 ottobre 2013

Premi, pensieri e scambi tra blogger

Graditissima sorpresa... il mio primo premio da blogger!

Il premio mi è stato assegnato da  Coccola Time , che ringrazio per aver pensato al mio blog...mi rende particolarmente felice perchè il mio è un blog "giovane", nato da pochi mesi e mi fa estremamente piacere che la passione che metto nel gestirlo e gli argomenti di cui tratto vengano apprezzati, tanto da assegnarmi un premio!

Le regole per accettare il premio sono:

- mostrare il logo del premio sul blog
- ringraziare il blogger che ti ha nominato
- nominare altri 15 blog
- mettere il link dei tuoi nominati nel post ed informarli del premio con un commento
- scrivere sette cose su di te

Pur non amando nessun tipo di catene, approfitto dell'occasione per segnalare alcuni blog di qualità che mi piacciono ed ai quali dedico il premio:

DecoRiciclo
Calendula e Camomilla
C'è crisi, c'è crisi!
Idea Lab Laboratorio Creativo  
La Pansè di Mary
Il bosco magico 
Naturalmente Felice 
Country Cats and Roses 
Serendipity...l'Officina delle idee... 

...sono meno di 15, ma spero mi perdonerete...

Ed ora ecco le sette cose su di me:

  1. sono vegana
  2. amo gli animali
  3. adoro i peperoni
  4. mi piace autoprodurre: saponi, cosmetici, detersivi, cibo...
  5. ho mille interessi e qualcuno ogni tanto lo perdo per strada
  6. credo nei sogni e nella possibilità di realizzarli
  7. credo che ognuno di noi sia un filo di un'unica ragnatela e che tutto ciò che facciamo alla ragnatela lo facciamo a noi stessi 
Bene, credo di aver fatto tutto, anche se non proprio "alla lettera"......ringrazio ancora per il premio ricevuto e vi saluto tutti.

 



 



lunedì 7 ottobre 2013

Metafore e consapevolezza: la rana che finì cotta senza accorgersene



Qualche tempo fa ho letto un libro molto carino che, tramite metafore, aiuta a riflettere in merito alla consapevolezza che abbiamo della realtà che ci circonda e dei comportamenti che mettiamo in atto quotidianamente.
Oggi, cercando un altro libro, mi è capitato per le mani e così ho pensato di condividere una di queste metafore sul blog…

Il libro è di Olivier Clerc e si intitola “La rana che finì cotta senza accorgersene”.



“Immaginate una pentola piena di acqua fredda e dentro una rana che nuota tranquillamente. Si accende il fuoco sotto la pentola. L’acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida. La rana trova la situazione piacevole e continua a nuotare.
La temperatura comincia a salire. L’acqua è calda, un po’ più calda di quanto piaccia alla rana ma per il momento non se ne preoccupa più di tanto, soprattutto perché il calore tende a stancarla e stordirla.
L’acqua ora è davvero calda. La rana comincia a trovarlo sgradevole ma è talmente indebolita che sopporta, si sforza di adattarsi e non fa nulla.
La temperatura dell’acqua continua a salire progressivamente, senza bruschi cambiamenti, fino al momento in cui la rana finisce per cuocere e morire senza mai essersi tirata fuori dalla pentola.
Immersa di colpo in una pentola d’acqua a 50°, la stessa rana salterebbe fuori con un salutare colpo di zampa.”



Questa metafora ci fa capire come il peggioramento di una situazione o della nostra condizione personale, se avviene in maniera abbastanza lenta e si sviluppa sul lungo periodo, non provoca in noi alcuna opposizione, perché non ce ne rendiamo neanche conto, in quanto il peggioramento avviene in maniera lenta ed impercettibile. Perché man mano che la situazione peggiora, anche la percezione di tale peggioramento viene meno, perché più si è stanchi e più aumenta la fatica e meno si ha coscienza del declino. Quando ormai la situazione è diventata insostenibile, vorremmo rapidamente tirarcene fuori, come la rana vorrebbe uscire con un balzo dalla pentola, ma siamo talmente indeboliti che non abbiamo la forza per farlo e le soluzioni che applichiamo non sono efficaci.

Tutto ciò è riscontrabile osservando l’oscurità morale e spirituale dell’attuale società in cui viviamo, il degrado ambientale, l’abbruttimento delle persone e dei rapporti umani, la scomparsa della morale e dell’ etica. A livello sociale, assistiamo ad un declino dei valori etici e ad un degrado della società, ma il cambiamento è così lento che pochi lo percepiscono e si indignano per questo. La nostra società materialista e consumistica ci sta “cuocendo” lentamente con il suo slogan del “tutto subito e senza sforzo”, abbruttendoci con i suoi programmi televisivi stupidi e mediocri, distraendoci ed addormentando la nostra coscienza che così non percepisce il lento ma costante degrado. E le persone, come docili rane, si lasciano convincere a restare nel loro brodo, senza neanche accorgersene.    

Da un punto di vista ambientale, la metafora della rana è riscontrabile nell’inquinamento graduale del Mondo, con gli scarichi quotidiani di gas nocivi nell’aria, con l’avvelenamento dei terreni con pesticidi e fertilizzanti chimici, con l’inquinamento dei mari, senza che le persone si rendano conto veramente dell’ avvelenamento che ci stiamo auto-infliggendo.

Anche a livello personale questa metafora può trovare riscontro ad esempio nelle relazioni di coppia, che spesso si deteriorano in maniera lenta e progressiva; le incomprensioni ed i rancori si accumulano negli anni, con trascuratezza, senza che gli si dia importanza, senza che si cerchino soluzioni, fino a che la relazione diventa invivibile.  Le relazioni umane necessitano di cura e di attenzione per restare soddisfacenti e di qualità e se non rimaniamo vigili e pronti a trovare soluzioni strada facendo, ci troveremo ad un punto in cui sarà difficile, se non impossibile, recuperare un rapporto ormai deteriorato.
In alcuni casi si può essere addirittura pentola e rana allo stesso tempo, nel senso che a volte la rana può bollire all’interno di se stessa. Può succedere che nella nostra vita lentamente ci si abbandoni alla routine, che ci si accontenti senza cercare nuovi stimoli, che si rimandino cose nuove da fare, esperienze nuove da vivere perché il nuovo fa un po’ paura ed è più comodo e sicuro ciò che già si conosce, anche se poco soddisfacente. E così, lentamente ed impercettibilmente ci si avvicina sempre più ad una sindrome depressiva, senza neanche rendersene conto, perché un cambiamento lento, se non si presta la giusta attenzione, sfugge alla nostra coscienza. Ma una vita soddisfacente è una vita piena, fatta di esperienze nuove, di nuove emozioni e necessita di un ideale verso il quale elevarci attraverso la ricerca della qualità, il perfezionamento, l’evoluzione.

La metafora della rana nella pentola d’acqua ci rivela che è necessario avere una coscienza sveglia ed attenta per renderci conto del deterioramento lento e impercettibile. Per poter uscire dalla pentola, che altro non è che la trappola del materialismo, del consumismo, della mediocrità, della mancanza di ideali e dell’accettazione passiva, bisogna restare vigili, presenti, consapevoli e prendersi cura di se stessi, delle relazioni con gli altri e con la natura, della propria evoluzione spirituale e morale. Tutto richiede cura, vigilanza,  sforzo; quello di cui non ci si prende cura deperisce, si degrada. E’ necessario  avere un ideale verso il quale elevarsi, un orizzonte migliore verso il quale guardare, così da avere uno scopo per cui attivarsi e tirarsi fuori dalla pentola per tempo, perché se è incosciente e disillusa, alla rana non resta altro che lasciarsi cuocere!

Perciò forse la soluzione è non accontentarsi, della routine, delle apparenze, delle idee preconfezionate, verificare di persona, approfondire e poi essere disposti a rimettere tutto in discussione, compresi noi stessi e le nostre certezze, accrescere la nostra conoscenza, aguzzare la memoria ed essere consapevoli. La consapevolezza è il rimedio, consapevolezza del nostro corpo, dei nostri pensieri, delle nostre emozioni, delle nostre parole. 

Finchè siamo in tempo, diventiamo consapevoli e saltiamo fuori dalla pentola!

 
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