mercoledì 25 dicembre 2019

Abbi Cura di Te

Un brevissimo post per lasciarvi un saluto e augurarvi/ci un Sereno Natale, un Natale di Luce, che illumini il nostro cammino.

Che si possa tutti utilizzare questi giorni per coltivare riposo, lentezza, silenzio e per prenderci cura di noi stessi, innaffiando e nutrendo quel seme che è dentro di noi, affinché si possa osare fiorire ed Essere davvero, qui e ora. 

Vi lascio questa canzone, Abbi Cura di Te, a mio parere molto bella...


giovedì 31 ottobre 2019

Il silenzio è cosa viva


Per chi ancora passa di qui ogni tanto o per chi ci arriva per la prima volta, oggi voglio condividere qui sul blog una piccola parte di un bellissimo libro.

Si tratta di "Il silenzio è cosa viva" di Chandra Livia Candiani.


L'autrice è una poetessa, traduttrice di testi buddhisti e conduttrice di corsi di meditazione.
Il libro di cui vi parlo è un saggio sulla meditazione pubblicato l'anno scorso da Giulio Einaudi Editore, nella collana Vele.

Riporto qui di seguito, integralmente tratto dal libro, il capitolo "L'arte di meditare", che a mio parere è davvero una importante testimonianza di cosa è la meditazione di consapevolezza ... per sintetizzare usando le parole della Candiani meditare è un'arte, è entrare in intimità con quello che ci accade, è seminagione di sacro nell'ovvietà quotidiana.

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L'arte di meditare

Ho letto una storia Sufi: "Un giorno l'asino di un contadino cadde in un pozzo. Non si era fatto male, ma non poteva più uscirne. L'asino continuò a ragliare sonoramente per ore, mentre il proprietario pensava al da farsi. Infine, il contadino prese una decisione crudele: concluse che l'asino era ormai molto vecchio e che non serviva più a nulla, che il pozzo era ormai secco e che in qualche modo bisognava chiuderlo. Non valeva pertanto la pena di sforzarsi per tirare fuori l'animale dal pozzo. Al contrario, chiamò i suoi vicini perché lo aiutassero a seppellire vivo l'asino. Ognuno di loro prese un badile e cominciò a buttare palate di terra dentro al pozzo. L'asino non tardò a rendersi conto di quello che stavano facendo e pianse disperatamente. Poi, con gran sorpresa di tutti, dopo un certo numero di palate di terra, l'asino rimase zitto. Il contadino allora si decise a guardare verso il fondo del pozzo e rimase sorpreso da quello che vide. A ogni palata di terra che gli cadeva addosso, l'asino se ne liberava, scrollandosela dalla groppa, facendola cadere e salendoci sopra. In questo modo, in poco tempo, l'asino riuscì ad arrivare fino all'imboccatura del pozzo, oltrepassare il bordo e uscirne trottando".
Meditare non è cercare vie d'uscita, ma piuttosto vie d'entrata. E' questo che fa l'asino. Entra nella sua situazione, sente la disperazione, grida, poi accoglie quello che sta succedendo, non ne resta sommerso, non è vittima della situazione, si scrolla di dosso la terra e quella stessa terra diventa la sua risorsa.
Il mondo è pieno di persone che danno ricette per disfarsi di qualsiasi cosa ci opprima, per non sentire o entrare in un'illusione anestetizzante. La pratica della consapevolezza, invece, insegna a stare, a entrare in intimità con quello che ci accade, e il paradosso è che questa intimità è impersonale. Non restiamo invischiati nell'autonarrazione, l'intimità della meditazione è contatto con il tessuto dell'esperienza, con la percezione diretta e non mediata dai concetti di quanto accade, del suo impatto su di noi. E questa giusta vicinanza ci permette di  arrivare non più a una reazione ma a una risposta. Non ci confina in una sorridente passività, ma anzi, l'accoglienza di quel che ci accade porta con sé l'energia di una giusta azione che si stacca da noi quando il tempo è maturo, e va nel mondo. 

Meditare ha la stessa radice di medicina, è cura e prendersi cura. La parola pali per meditazione è bhavana, causativo del verbo essere, dunque portare a essere, ossia coltivare. Si tratta di coltivare la mente-cuore. In pali, sono una parola sola: citta. E già questo fa avvertire la portata della differenza tra la nostra cultura occidentale di pensiero dissezionante e separativo e una cultura della non separatezza, del nesso. Noi abbiamo due stereotipi a cui badare per non cadere in equivoci depistanti: che la meditazione sia cogitazione e che la meditazione sia sospensione di qualsiasi impatto sensoriale e psichico e immersione in un dolce nulla. 

Meditare non è nemmeno una tecnica, ma un'arte. Dell'arte quindi ha il rischio, l'improvvisazione, lo studio e la dimenticanza dello studio, la dedizione, la leggera e misurata follia, la precarietà, la vocazione, l'invasione nella vita quotidiana, la spellatura. Noi conosciamo nei riflessi e nelle bucce, sbucciandoci. Seguendo una Via bisogna rischiare la pelle. Se la meditazione non dilaga nella vita quotidiana, se non sfida quello che chiamiamo "il mio carattere", se non comprendiamo che tutto è meditazione, entrare in casa, uscire di casa, fare le scale, mettersi, togliersi le scarpe, cucinare, parlare, mangiare, dormire, lavorare, fare l'amore, riduciamo la meditazione a una stampella, una protesi che acquieta un tantino la nostra vita che resta sempre la stessa, centrata sull'io.

Dice Lao Tzu:
"Fai attenzione ai tuoi pensieri, perché diventano parole.
Fai attenzione alle tue parole, perché diventano le tue azioni.
Fai attenzione alle tue azioni, perché diventano abitudini. 
Fai attenzione alle tue abitudini, perché diventano il tuo carattere.
Fai attenzione al tuo carattere, perché diventa il tuo destino".
Essere presenti significa essere presenti al proprio io come a un oggetto di studio. L'io non è la presenza; può parlare per ore della presenza, ma noi sentiamo se è l'io a parlare e non ci raggiunge che vuota erudizione, una fila di parole senza vigore, perché dove c'è presenza non può esserci io e solo la presenza ci raggiunge e ci trasforma.
Attorno all'io ruotano pensieri ed emozioni, l'io è la loro solidificazione, si sente il centro di tutto, le cose esistono solo in relazione a me: mi piacciono, non mi piacciono, mi adulano, mi minacciano, sto sempre difendendo il territorio dell'io. 
Il rischio della solidificazione è ovunque, anche sul sentiero interiore, ed è quello di creare un io ideale, un io meditante, saggio, imperturbabile, che snocciola insegnamenti a piè sospinto. Quando siamo invece nella presenza, sappiamo esitare, fare silenzio, sappiamo non sapere. Il giorno dopo la morte di mia sorella, Gigi, un sacerdote non convenzionale, un servitore del bene e del bello, mi ha chiamato, senza sapere nulla di quello che mi era successo. Dopo i primi saluti, gliel'ho subito semplicemente detto. E lui ha esclamato: "Oddio, oddio, oddio!" Ho sentito la sua totale partecipazione, il suo sbucciarsi con me, ho sentito il mio dolore e la sua immediata compagnia. Mi ha aiutato più di qualsiasi frase dotta o consiglio accorto.
Per essere nella presenza, devo coltivare a lungo uno sguardo sull'io, anziché guardare tutto dai suoi occhi. Anziché guardare il mondo dalla rabbia, dalla tristezza, dall'eccitazione, guardo la rabbia, la tristezza, l'eccitazione. La presenza è riconoscere quello che c'è, riconoscere la calma, riconoscere il movimento dei pensieri, non preferire la calma al movimento dei pensieri, non scegliere. La presenza è smettere di aver paura della propria delicatezza.
Ciò che osserva la paura non è spaventato, ciò che osserva la rabbia non è arrabbiato.
Nella presenza c'è discontinuità rispetto all'io. Per sentire la presenza, bisogna fare un passo fuori dall'io, dalle reazioni mentali di cui è fatto, dalle identificazioni che coprono la sua paura di essere nulla. 
Il modo in cui guardiamo al nostro io è essenziale quanto lo sguardo stesso. Va allenato uno sguardo tenero, compassionevole, uno sguardo fermo che vede i limiti ma non si trasforma in giudice, in critico puntiglioso e acido, né in risolutore dei problemi altrui.
In noi c'è qualcosa che non pretende e non si impone, qualcosa che semplicemente è. Un puro conoscere sorridente.
C'è un punto in cui il dolore diventa anonimo e le cause contingenti, per quanto gravi, sono solo il nome e la forma che un'energia molto più antica assume in quel momento, è l'energia di essere al mondo, di avvertirsi separati e di percepire la nostalgia e il richiamo dell'unità. Ogni desiderio racchiude questo desiderio radicale, ritornare alle stelle, non essere più nella distanza. 
Essere in contatto con la fonte del desiderio, con il nostro costante mancare, è l'essenza della meditazione. Essere alla fonte è smettere di desiderare, perché si abita il desiderio, si è desiderio senza più oggetto, e il cambiamento inizia accogliendo se stessi, la nostra incompiutezza, la nostra mancanza e tensione verso, cercando di non migliorarsi né cambiarsi, aspettando, attendendo alla trasformazione che arriverà quando il tempo del sostare sarà maturo.

Un giorno il Buddha, davanti a migliaia di discepoli, anziché insegnare parlando, in totale silenzio alzò un fiore di loto. In tanti si chiesero il significato, probabilmente molti si diedero risposte erudite, profonde, raffinate. Solo Kashyapa si limitò a guardare il Buddha e a sorridere. E il Buddha seppe che Kashyapa aveva visto la sospensione, il mondo fluttuante, la nostra comune evanescenza e le aveva sorriso. Vide il suo Risveglio. 
La meditazione è seminagione di sacro nell'ovvietà quotidiana. 

Una giornalista chiese al grande Maestro thailandese Ajahn Chan di fargli alcune domande sulla sua pratica meditativa. 
Chiese: "Perché pratichi?" "Come pratichi?" "Quali sono i risultati?"
Ajahn Chan rispose: "Perché mangi?" "Come mangi?" "Con quali risultati?"

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Io ho trovato questo libro di una profondità disarmante, commovente, carico di poesia e sacralità, scritto con parole tali da rendere perfettamente chiari i concetti, portarli nella quotidianità così da permetterne l'interiorizzazione, sentendoli, assaporandoli. 
Vi invito quindi a leggerlo, sia che siate solo incuriositi dalla meditazione, sia che siate già praticanti. 

Buon cammino consapevole.


Il Silenzio è Cosa Viva
L'arte della meditazione
€ 12,00

domenica 18 agosto 2019

Sapone alla calendula

Era da parecchio che non mi dedicavo a fare saponi. 
Dai tempi dei mercatini (e quindi dai tempi delle superproduzioni :D ) mi era rimasta una grande scorta di saponi di ogni tipo e fragranza.
Nonostante la notevole scorta però, tra il nostro utilizzo in casa ed i regali ad amici e parenti,  i saponi stavano per finire e così, prima di restare senza, ho deciso di dedicarmi all'autoproduzione del mio sapone preferito, quello alla calendula.



Per me il sapone alla calendula è il "SAPONE" per eccellenza, delicato ed adatto a tutti i tipi di pelle!



Mentre lo facevo mi sono resa conto che non ho mai pubblicato sul blog la ricetta per questo meraviglioso sapone!



Perciò eccomi qui a rimediare :-)

Prima di tutto qualche nota sulla calendula, per chi ancora non conosce le proprietà di questo solare, coloratissimo e portentoso fiore.



La calendula ha prevalentemente proprietà antibatteriche, antinfiammatorie e cicatrizzanti, quindi è largamente impiegata per contrastare le infiammazioni cutanee, per favorire la cicatrizzazione delle ferite e per curare scottature ed ustioni.

Con i fiori di calendula è possibile preparare anche un ottimo oleolito, meraviglioso per la cura di bruciature e da utilizzare come doposole. Qui le indicazioni per prepararselo da sè.

Ora, se volete lanciarvi nell'autoproduzione di questo delicatissimo prodotto per l'igiene personale, il sapone alla calendula, procuratevi innanzitutto l'attrezzatura necessaria (vedi qui)

E poi gli ingredienti necessari:

OLII
  • olio di oliva 1000 g.
  • olio di ricino 150 g.
  • olio di coprah (cocco) 200 g.
  • oleolito di calendula 75 g.
  • oleolito di camomilla 75 g.

PER LA SOLUZIONE CAUSTICA
  • soda caustica 200 g.
  • acqua 450 g.

AL NASTRO

  • olio di germe di grano 45 g.
  • farina di riso 1 cucchiaino
  • petali di fiori di calendula 3 g.
  • olio essenziale puro di lavanda 5 g. 
  • olio essenziale di rosmarino 3 g.
  • olio essenziale di arancio 7 g.

Prima di procedere vi ricordo che la soda è caustica e può provocare gravi ustioni pertanto è necessario indossare i guanti, la mascherina e gli occhiali.

Inoltre per ottenere un buon sapone è indispensabile pesare tutto con assoluta precisione.

Per prima cosa pesare la giusta quantità di acqua e di soda in due contenitori di plastica resistente, quindi versare lentamente la soda nel contenitore con l'acqua, mescolando con un cucchiaio di plastica dura. Attenzione che in questa fase la soda raggiunge temperature molto alte e sprigiona vapori tossici!
Mettere da parte e lasciare che la soluzione caustica si raffreddi e raggiunga la temperatura di circa 45°.

Pesare gli olii in una pentola di acciaio e preparare tutti gli altri ingredienti che occorrono per la fase di nastro, così da averli già pronti quando sarà il momento, perché in questa fase la pasta di sapone tenderà a solidificarsi presto e quindi bisognerà addizionare gli ingredienti piuttosto velocemente.
Pesare quindi l'olio di germe di grano in una ciotolina alla quale aggiungere la farina di riso e gli olii essenziali.
Preparare anche i petali di calendula in un'altra ciotolina.

Quando la temperatura della soluzione caustica avrà raggiunto circa 55° procedere a riscaldare gli olii a fuoco lento. Fare attenzione a non riscaldare troppo gli olii, perché raggiungeranno la giusta temperatura di 45° in pochissimi minuti.

Quando gli olii e la soda avranno raggiunto entrambi la stessa temperatura di 45°, togliere gli olii dal fuoco e versare lentamente la soluzione caustica nella pentola con gli olii, mescolando con un cucchiaio di legno.
Dopo qualche girata passare ad amalgamare con il frullatore ad immersione. Man mano che si frulla la pasta di sapone cambierà consistenza, diventando sempre più cremosa e quando, alzando il frullatore e facendo colare il composto questo resterà qualche secondo sulla superficie prima di affondare, si sarà raggiunta la fase di nastro.

A questo punto aggiungere l'olio di germe di grano con farina di riso ed olii essenziali e dare qualche altra veloce frullata. 
Aggiungere poi anche i petali di calendula e mescolare delicatamente con il cucchiaio di legno. 

Non resta che colare il sapone negli stampi prescelti, coprire con pellicola trasparente e una coperta per mantenere il calore necessario alla fase di saponificazione.

Dopo circa 48 ore si potranno sformare i saponi e/o tagliarli se si è utilizzato uno stampo unico.
Quindi andranno lasciati stagionare in un luogo fresco e asciutto per circa due mesi, prima di poterli utilizzare.






Buona saponificazione :D


lunedì 29 luglio 2019

Ravioli di borragine tofu e noci

Una delle specialità tipiche della Liguria è quella dei buonissimi :P ravioli di borragine.



La borragine (Borago Officinalis) è una pianta spontanea commestibile tipica delle regioni mediterranee. Ha dei carinissimi fiori blu e le sue foglie sono ricoperte di una peluria leggermente urticante, che con la cottura sparisce. 
Ha proprietà antiossidanti, antinfiammatorie, protettive del sistema cardiovascolare e riequilibranti del sistema ormonale femminile.



Solitamente utilizzo i fiori e le foglie di borragine per fare delle spettacolari frittelle (le adoro! Sono capace di mangiarne un vassoio intero tutto da sola :P ) che si preparano anche molto velocemente; basta tagliare grossolanamente fiori e foglie, unirli ad una pastella fatta di acqua, sale e farina e poi friggerle in poco olio finché diventano belle croccanti e dorate.

Ogni tanto mi dedico invece alla produzione dei ravioli ... lavoraccio eh, ma vale tutta la pena, ve lo assicuro!!!

Se volete provare questi ravioli di borragine in versione vegan, procuratevi:

Per la pasta
- 600 g di semola 
- 300 g di farina tipo 1
- 1 cucchiaino di sale
- acqua q.b. (io circa 450 g)

Per il ripieno
- 600 g di borragine
- 400 g di tofu
- 60 g di noci
- 2 cucchiai di lievito alimentare
- sale a piacere
- pepe a piacere

Con questi ingredienti otterrete circa 80 ravioloni, ma se volete potete prepararne una quantità minore riducendo proporzionalmente le dosi. 
Io preferisco farne in abbondanza e poi congelarli per averli pronti al bisogno; basta solo avere l'accortezza di metterli a congelare su dei vassoi e, una volta induriti, metterli nei sacchetti gelo, già nelle dosi desiderate, così da averli pronti all'uso. Io considero circa una decina di ravioli a persona per una porzione bella abbondante e li butto nell'acqua bollente ancora congelati.

Ecco come si procede per la preparazione:

Per prima cosa si pulisce e si lava la borragine, quindi la si fa sbollentare in pochissima acqua. 
Quando è cotta la si fa sgocciolare bene, poi la si tritura con una mezzaluna e la si mette in una ciotola.
Quindi si aggiunge il tofu frullato con il mixer e le noci triturate, il lievito alimentare, sale e pepe.
Si amalgama tutto per bene e si mette da parte.



Quindi si passa alla preparazione della pasta miscelando in una ciotola le due farine e il sale e poi versando l'acqua poco a poco e impastando, inizialmente dentro la ciotola e poi sulla spianatoia, fino ad ottenere un impasto liscio, compatto ed elastico.


Quindi, con l'aiuto della macchina per la pasta, si formano delle sfoglie dello spessore desiderato. Io ho usato lo spessore 4 della macchina Imperia perché se la pasta è troppo sottile il ripieno rischia di uscire durante la cottura.
Sul piano infarinato si poggiano le sfoglie appena fatte e, con l'aiuto di un cucchiaino si adagia il ripieno lungo la sfoglia (un cucchiaino per raviolo).


Si piega quindi la sfoglia su se stessa a ricoprire il ripieno, si preme con le dita ai lati tra un ripieno e l'altro per far uscire l'aria e si schiacciano tutti i bordi. Infine si ritagliano i ravioli con l'apposita rotellina.


Si adagiano quindi su un vassoio infarinato in attesa di cuocerli o di congelarli.


Questi ravioli sono molto buoni conditi con un sugo leggero di pomodoro, ma anche solo leggermente saltati in padella con burro vegetale e salvia.



Beh, buon appetito! ;-)

sabato 6 luglio 2019

Verdure ripiene a modo mio

Ciao!
Come va lì da voi con il caldo? Qui si boccheggia 8)
Fortunatamente trovo un po' di refrigerio andando ogni tanto in spiaggia all'alba, a godermi lo spettacolo del sole che sorge, il fresco del mattino e una bella nuotata con Argo, il mio Golden pazzerello e sempre più meraviglioso ;)

Certo questo caldo non è l'ideale per cucinare e ancor meno per accendere il forno, ma visto che comunque lo dovevo accendere per cuocere il pane (ormai sono anni che non compro più il pane in panetteria e mangiamo solo quello autoprodotto con la mia pastamadre) oggi mi sono detta: perché non approfittare del forno già in temperatura e cuocere delle belle verdurine ripiene? 
Detto, fatto! :D


Se vi va di provare a farle vi occorreranno questi ingredienti:

- verdure a piacere da riempire - io avevo un peperone, due grandi cipolle e otto piccole zucchine tonde, ma vanno bene anche le zucchine lunghe
- due patate grandi
- formaggio vegano grattugiato - io avevo il grattugiato della Violife
- sei mini wurstel di seitan 
- due cucchiai di lievito alimentare
- erbe aromatiche tritate - io ho messo timo, rosmarino, origano, salvia e maggiorana dell'orto
- pan grattato 
- sale
- olio evo

Per la preparazione si procede così:

Lavare le patate (con la buccia), metterle in una pentola, ricoprirle di acqua fredda, metterle sul fuoco e lasciarle cuocere finché saranno morbide ma non sfatte.

Accendere il forno e portarlo alla temperatura di 180°
Nel frattempo che il forno si scalda, pulire e lavare le verdure, tagliare in due il peperone e lasciare intere le altre verdure come le cipolle e le zucchine. Sistemarle quindi in una teglia ricoperta di carta da forno. Infornarle e cuocerle per una ventina di minuti, finché si ammorbidiranno, ma non troppo.

Quando saranno abbastanza morbide, toglierle dal forno e lasciarle raffreddare leggermente.
Quindi tagliare in due le cipolle e le zucchine lunghe nel senso della lunghezza, mentre le zucchine tonde si lasciano intere.

Togliere la parte centrale delle mezze cipolle (lasciare solo i due o tre strati esterni), tritarla con un coltello o con una mezzaluna e metterla in una padella con un po' di olio evo.

Scavare le zucchine con un cucchiaino e mettere la polpa, tagliata finemente, nella padella con la cipolla.

Far rosolare il tutto per una decina di minuti, quindi trasferire in una ciotola e mettere da parte.

Quando le patate saranno cotte, sbucciarle, schiacciarle con uno schiacciapatate e metterle nella ciotola con la cipolla e la polpa di zucchine.

Unire anche i wurstel tagliati finemente, il formaggio grattugiato, il lievito alimentare, le erbette tritate finemente, sale a piacere e un po' di olio. Mescolare accuratamente.

Con il composto ottenuto riempire le verdure, aiutandosi con un cucchiaino. Quindi sistemarle nella teglia, spolverarle con pangrattato e aggiungere un filo di olio sulla superficie.


Infornare a 200° per 20-25 minuti e comunque finché la superficie non sarà ben dorata, eventualmente inserire il grill negli ultimi cinque minuti di cottura. 


Servire e gustare! 


Vedrete che nonostante la poca voglia di accendere il forno per via del caldo, ne varrà la pena e otterrete un piatto dal sapore molto fresco ed estivo.

Buon appetito!
Enjoy! :D


mercoledì 19 giugno 2019

La locanda



Ciao! :-) 

Faccio brevemente capolino tra queste pagine per condividere una bellissima poesia del grande poeta persiano Rumi, una poesia che ci invita ad essere grati per ogni cosa che arriva nella nostra vita <3 

La locanda

L'essere umano è come una locanda, 
ogni mattina arriva qualcuno di nuovo.

Una gioia, una depressione, una meschinità,
qualche momento di consapevolezza arriva di tanto in tanto, 
come un visitatore inatteso.

Dai il benvenuto a tutti, 
intrattienili tutti!
Anche se è una folla di dispiaceri 
che devasta violenta la casa, 
spogliandola di tutto il mobilio, 

lo stesso tratta ogni ospite con onore, 
potrebbe darsi che ti stia liberando
in vista di nuovi piaceri.

Ai pensieri tetri, alla vergogna, alla malizia, 
vai incontro sulla porta ridendo, 
e invitali a entrare.

Sii grato per tutto quel che arriva, 
perché ogni cosa è stata mandata 
come guida dall'aldilà. 

Jalal al-Din Rumi


Un caro saluto a voi che vi trovate a passare di qua ... 
buona vita <3

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